L’essenza della Repubblica antifascista: la lotta alle diseguaglianze (Art. 3)

Cosa rimane, a ottant’anni dall’inizio della lotta di liberazione e a settantacinque dalla promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza?
I padri e le madri costituenti erano consapevoli che questa nuova creatura veniva delineata in un momento di grazia che sarebbe poi passato e che quella creatura era ancora tutta da costruire.
Molto è stato fatto, ma tantissimo resta da fare e, sotto alcuni aspetti fondamentali, sono stati fatti passi indietro negli ultimi decenni, anziché fare ulteriori passi avanti.
Il caso più stridente, oltre all’Art. 1 che la vorrebbe “fondata sul lavoro” nel paese in cui l’occupazione è al 61%, è l’Art. 3 della Costituzione Italiana recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
”.
Si tratta di una novità assoluta e dirompente, negli anni in cui è stato concepito.
I suoi redattori, Lelio Basso e Severo Giannini, entrambi partigiani, membri di primo piano della Resistenza, ricordano negli anni successivi che una simile norma non si trovava in nessun’altra carta costituzionale1. Dunque il principio di eguaglianza sostanziale e concreta e l’idea che lo Stato debba “rimuovere gli ostacoli” al pieno sviluppo della persona, cioè le diseguaglianze, si può definire un prodotto originale dell’antifascismo italiano.


«Il principio di uguaglianza è il principio più artificiale fra tutti. In natura non è data l’uguaglianza: gli uomini nascono diversi e solo una decisione politico-giuridica può renderli (più) uguali.
La lotteria naturale getta gli uomini in uno stato di radicale disuguaglianza: sani e malati: forti e deboli; intelligenti e incapaci di apprendere; coraggiosi e vili; egoisti e generosi; ricchi e poveri per nascita ecc. Solo un ordinamento giuridico può realizzare l’uguaglianza, può inverarla. Non ha un fondamento naturalistico – come la libertà e come i diritti che di quella sono lo svolgimento – che pretende di essere riconosciuto e tutelato. L’uguaglianza, come abbattimento delle differenze naturali e sociali, appare come un ideale di giustizia, come l’annullamento divincoli odiosi che impediscono solo a qualcuno di godere dei medesimi beni di cui godono gli altri.
Ma se il cammino verso questo ideale di abbattimento delle differenze si ferma alla dichiarazione di una perfetta uguaglianza formale, dunque di una perfetta uguaglianza tra gli uomini trasformati in soggetti astratti di diritto – l’uguaglianza davanti alla legge -, allora queIl’ideale si trasforma in una maschera menzognera, che finge di additare una meta desiderabile, ma invece consacra lo status quo, con tutte le sue disuguaglianze di fatto. Il diritto perfettamente uguale si trasforma cosi nel diritto più perfettamente aderente alla realtà “spontanea”. Nella società fondata sul libero scambio delle merci, l’uguaglianza formale consiste nell’essere tutti ugualmente liberi di scambiarle. Ma il diritto uguale, in tal modo, maschera una realtà profondamente disuguale e ne fissa e ne perpetua i caratteri.
[…]
Affermerà Lelio Basso nei primi anni Settanta che il motivo per il quale egli aveva tenuto a inserire questo articolo era che “esso smentisce tutte le affermazioni della Costituzione che danno per realizzato quello che è ancora da realizzare; la democrazia, l’uguaglianza, ecc.”, mettendo a nudo il valore ideologico di certe affermazioni. La stessa qualificazione democratica della Repubblica italiana non può essere realmente tale “fino a quando non avrà trovato realizzazione l’art. 3 capoverso, cioè fino a quando non saranno eliminate le disuguaglianze economiche e sociali”. In questo senso, quest’ultimo non soltanto doveva essere “un comando per il legislatore futuro, che» avrebbe dovuto «fare le leggi per rendere effettiva l’uguaglianza” ma, molto di più, doveva introdurre nel cuore dell’ordinamento costituzionale una contraddizione antagonistica la cui dinamica era destinata a trasformare le strutture della costituzione in senso materiale»
2 .


A fronte di un tale abisso tra quel che doveva essere la Repubblica Italiana nata dalla Resistenza e il paese straziato e depresso che è oggi l’Italia, di cui il Censis fa in questi giorni una fotografia impietosa (su cui torneremo), noi di RED Reddito Europa Diritti abbiamo fatto una scelta: abbiamo deciso che non ci faremo contagiare da questo sconforto generale, da questa inerzia disfattista per cui sembra non ci sia ormai più nulla da fare.
Rifiutiamo categoricamente l’idea che l’Italia sia destinata a sprofondare nelle diseguaglianze e a un progressivo deperimento e ripiegamento su se stessa, tra povertà dilagante, culle vuote e giovani che fuggono all’estero.
Ci chiediamo piuttosto, ancora una volta, perché mai non si debba parlare di soluzioni alla crisi, perché non si debba parlare di lotta alle diseguaglianze, di fisco realmente progressivo, di tasse sui patrimoni multimiliardari e multimilionari, di reddito di base incondizionato, remunerazione minima e giusta, di riduzione drastica degli orari di lavoro, di rafforzamento dei diritti.
Per questo motivo nei prossimi giorni rilanceremo le nostre proposte con ancora più forza e lavoreremo senza stancarci per ridestare alla vita questo nostro paese che sembra avviato a un sonno della ragione e della partecipazione democratica potenzialmente mortale.

  1. Cfr. M. Dogliani, C. Giorgi, Costituzione Italiana Art. 3, Carocci, Città di Castello (PG) 2021, PP. 93. ↩︎
  2. Ivi, p. 90. ↩︎

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