Il centenario di Puccini e l’attualità della Boheme

È di poche settimane fa il centenario della scomparsa di Giacomo Puccini, tra i più grandi compositori al mondo, il 29 novembre del 1924. Insieme a lui, in quei mesi, si spegnevano anche la libertà e la democrazia in Italia, con l’avvento del regime fascista, il 3 gennaio del 1925. Dopo cent’anni diverse cose stanno (tristemente) tornando di attualità.

Nel 1896 era andata in scena una delle sue opere più celebri, la Boheme, un capolavoro assoluto e indimenticabile, una musica piena di vita, che rappresenta un mondo in cui possiamo rispecchiarci ancora oggi. Non è difficile trovare in giro quattro giovani intellettuali (poeta, pittore, filosofo, musicista), poveri, scanzonati, simpaticissimi, due donne molto belle e libere, ma anche molto diverse, una malata, l’altra inquieta. Visti con gli occhi dei cinici benpensanti, possono essere liquidati come quattro sfaccendati, una gatta morta e una poco di buono, così come molti oggi liquidano i più sfortunati come buoni a nulla, fannulloni. Rappresentano una generazione di diseredati che si difende con leggerezza da quella precedente che ha saldamente in mano la proprietà e il denaro. Una generazione che deve rinunciare all’amore e anche a curarsi, per mancanza di soldi.

La loro allegria iniziale, resa con melodie gaie e giocose, e la magia dell’amore, lasciano il posto al dramma e alla tragedia. La loro è una gioventù bruciata da una società in cui la cultura non conta nulla, se non ha mercato (e spesso non lo ha, specialmente nelle fasi di crisi economica), conta solo il denaro. Era così nel 1830, epoca in cui è ambientata la storia, era altrettanto vero nel 1896, quando andò in scena la Boheme, ed è altrettanto vero oggi.

Oggi non si contano i posti di lavoro tagliati nel comparto della cultura e i lavoratori costretti a trasformarsi in finte partite IVA in condizioni miserrime.

Il liberismo e il neoliberismo bruciano le vite dei più giovani, dei più deboli, soprattutto se intellettuali, bruciano la cultura, che a volte è più preziosa lì dove non ha mercato, e bruciano le relazioni, avvelenando in particolare il rapporto uomo-donna.

Rodolfo dopo pochi mesi di amore maltratta Mimì, per gelosia (Mi grida ad ogni istante: non fai per me, ti prendi un altro amante, non fai per me!), la accusa di inadeguatezza, ma dietro la presunta inadeguatezza di lei, grattando, vien fuori il senso di inadeguatezza di lui, il senso di colpa di non poterle offrire un alloggio adeguato e cure per la tubercolosi (La mia stanza è una tana squallida… il fuoco ho spento. V’entra e l’aggira il vento di tramontana! Essa canta e sorride, e il rimorso m’assale. Me, cagion del fatale mal che l’uccide!). La povertà uccide l’amore e lo trasforma in veleno.

Se guardiamo alla Boheme scopriamo che nella gioventù diseredata di oggi, che sembra non avere speranze e non fa figli, non c’è “nulla di nuovo sotto il sole”. Basterebbe restituirle opportunità per esprimere le sue potenzialità, correggendo le diseguaglianze, la povertà e l’impoverimento che bruciano le vite e spengono i sogni.

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