Dazi amari

Quanto è solida un’economia basata sull’impoverimento delle persone?
Da tempo vari analisti segnalano che la scelta di puntare sulle esportazioni e sulla manodopera a basso costo, praticata dalle classi dirigenti italiane, non sia più possibile.
Citiamo solo uno degli ultimi esempi. Scrive sul quotidiano Domani Massimo Taddei:

Basare la propria crescita solo sulle esportazioni ha due grossi svantaggi. Il primo è che, per quanto grande (l’Italia è il sesto paese esportatore al Mondo), l’export pesa solo per una frazione dell’economia nazionale. Nel 2023, valeva 776 miliardi di dollari, contro 1.750 miliardi dei consumi finali. Anche se si punta tutto sulle esportazioni, dunque, si andrebbe a trainare solo una parte dell’economia.

C’è poi il secondo fattore, quello della volatilità: scommettere tutto sul fatto che saranno gli altri paesi a comprare i nostri prodotti ci espone al rischio che, a un certo punto, questi paesi decidano di non comprare più. È il caso della Germania, che con la crisi, soprattutto del settore automotive, ha ridotto drasticamente la domanda di componentistica e di altri prodotti delle industrie italiane, e degli Stati Uniti, che hanno già imposto molti dazi e potrebbero presto colpire anche l’Unione europea.

Insomma, se è giusto investire sempre di più per rendere le imprese esportatrici, è anche importante mettere in campo politiche che stimolino la domanda interna, ossia la quantità di beni e servizi che vengono acquistati sul territorio nazionale. Il problema è che gli italiani non hanno soldi da spendere: proprio a causa della stagnazione economica degli ultimi due decenni, il potere d’acquisto è colato a picco.

La nota Upb si chiude proprio sugli stipendi: nonostante la parziale crescita nel 2024 dei salari reali (aggiustati cioè per l’inflazione), il potere d’acquisto degli italiani è calato di più del 3 per cento rispetto al 2021. Considerando che tra il 2014 e il 2022 gli stipendi erano già calati del 4 per cento, le prospettive si fanno ancora meno rosee di quanto non fossimo già abituati da tempo.

I dazi americani che minacciano seriamente la nostra economia, ma ancor di più minacciano la stessa economia a stelle e strisce, sono solo un esempio tra i più clamorosi di come una governance eletta a furor di popolo contro l’inflazione e la perdita di potere d’acquisto possa rischiare di infliggere il colpo di grazia ai propri sostenitori, con un aumento ulteriore dei prezzi.

Forse i governi precedenti, in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, avrebbero dovuto mettere a fuoco che non basta dire che l’economia va bene se la gente sta male e che salvaguardare il benessere psicofisico dei propri cittadini avrebbe dovuto essere la priorità assoluta.

Il Reddito di base è uno strumento di grande efficacia, che avrebbe rafforzato sia la domanda interna, stimolando anche la produzione industriale (si dice che quella italiana sia ferma da più di venti mesi…), sia la coesione sociale che è presupposto fondamentale per la democrazia, perciò avrebbe potuto e dovuto essere attuato già da anni, visto che la crisi economica si trascina dal 2008. È del 2017 il Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale che inizia a delineare una sua possibile introduzione, fornendo una valutazione prudentemente positiva e possibili linee guida al legislatore. Ci pare incredibile che non sia seguito neppure dopo la pandemia da Covid un aperto dibattito, per far conoscere alle opinioni pubbliche la corposa documentazione che depone a favore di questa misura.

Forse adesso quel momento è davvero ineludibile, perché dovrebbe essere evidente per tutti che i salari non sono sufficienti a distribuire correttamente la ricchezza: lo dimostra il caso della Germania, dove esiste da anni un robusto salario minimo, eppure il disagio economico e sociale è rimasto inscalfibile, soprattutto nella ex DDR, e le forze di ultradestra neonaziste crescono nei consensi e nella capacità di influenza, alla vigilia di elezioni cruciali.

Forse si potevano prevedere (e prevenire) questi scenari assai prima di giungere a una situazione talmente compromessa da trovarci di fronte destre eversive dilaganti, incarnate da un turbo capitalismo tendente a voler arricchire ulteriormente gli straricchi e votate da masse di impoveriti pieni zeppi di rancore contro la democrazia (e contro l’Unione Europea, al di qua e al di là dell’Atlantico).

Nessuno sembra in grado di indicare una via di uscita dal rischio concreto della dissoluzione dell’ordine mondiale faticosamente costruito nel secolo passato, al termine della Seconda guerra mondiale, ad opera di forze politiche che non si fanno alcuno scrupolo di legalità internazionale o diritti umani, pronte a schiacciare qualunque ostacolo allo strapotere del più forte.

Se si insiste ancora in questa direzione e ci si ostina a non fare nulla per correggere efficacemente le diseguaglianze e le povertà, tra pochi anni intorno a noi potremmo vedere solo le macerie del mondo che i nostri padri costituenti e i padri fondatori dell e istituzioni europee ci hanno lasciato, insieme alla comunità delle Nazioni Unite.

Noi riteniamo che non sia tutto perduto, ma a patto di invertire la rotta, aprire un dibattito pubblico sull’urgenza di separare l’economia del territorio dall’alta finanza, la quale non ha più alcun interesse a promuovere e tutelare i lavoratori e per sostenere la competizione industriale dovrà fare incetta di automazione e Intelligenza Artificiale; far rinascere il lavoro dal basso, con cooperative che coadiuvino lo stato e gli enti locali nell’erogazione dei servizi al territorio e al cittadino secondo il principio della sussidiarietà; separare il lavoro dal reddito e prendere tutte le misure necessarie (rafforzando sanità, istruzione, infrastrutture), per salvaguardare la coesione sociale.

Sulla necessità di introdurre al più presto il Reddito di base continuiamo pazientemente a confrontarci con esponenti delle istituzioni disponibili all’ascolto e con chiunque abbia voglia di accendere una fiammella anziché maledire il buio.

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