Facciamo una riflessione seria sui dati “straordinari” di questi giorni, relativi all’occupazione.
Già un anno e mezzo fa l’ISTAT aveva annunciato con enfasi il record storico di giugno 2022:
“Rispetto a giugno 2021, l’incremento di oltre 400mila occupati è determinato dai dipendenti che, a giugno 2022, ammontano a 18 milioni 100 mila, il valore più alto dal 1977, primo anno della serie storica. Il tasso di occupazione sale a 60,1% (valore record dal 1977), quello di disoccupazione è stabile all’8,1% e il tasso di inattività scende al 34,5%”.
Ora di quanto è migliorata la situazione? Poco o nulla.
Tre giorni fa l’ISTAT ha comunicato che “il tasso di occupazione resta invariato al 61,8%”.
Da due anni ci raccontano che cresce l’occupazione raggiungendo nuovi record, ma senza specificare che cresce di poco o nulla.
In tre anni è aumentata di tre punti percentuali, soprattutto per effetto del Superbonus che ha gonfiato l’edilizia, del RdC che ha pompato la domanda aggregata e del boom del turismo che sta snaturando i centri storici delle città d’arte.
Ma alla fine siamo solo passati dal 59% al 61,8, molto al di sotto delle medie Ocse e Eu, 73% e 75%.
Le proporzioni sono e restano queste: 23 milioni e mezzo di italiani tra 15 e 64 anni lavorano e 9 milioni e mezzo tra 24 e 64 anni (sottraendo gli studenti) non lavorano.
Non è ragionevole aspettarsi che possa migliorare ulteriormente in maniera tale da cambiare radicalmente le proporzioni tra chi lavora e chi un lavoro non ce l’ha.
Resta il fatto che anche con l’80% di occupazione, come in Germania, le diseguaglianze corrono, molti restano indietro e le ultradestre xenofobe e negazioniste avanzano.
Serve il reddito di base.
Sostenere l’idea che tutti si debba rientrare nel mercato del lavoro è fuori dalla realtà.
Non accadrà mai che esista un posto per tutti, se per lavoro si intende un impiego retribuito con remunerazione discreta o sufficiente a un tenore di vita dignitoso, come prescrive la Costituzione.
Tra dieci anni quasi tutti i veicoli saranno a guida autonoma, nella logistica lavoreranno quasi solo i robot e tra vent’anni le intelligenze artificiali rimpiazzeranno anche molte professioni.
Il lavoro non è e non deve essere legato al mercato del lavoro, che nella migliore delle ipotesi riguarda il 60% o il 70% della popolazione in età da lavoro, ma a qualunque attività che contribuisca al bene comune e al progresso.
Dobbiamo scendere coi piedi per terra se non vogliamo continuare all’infinito a guastare la realtà per inseguire una fantasia assurda.