Ricorre in questo periodo l’80° anniversario delle Quattro Giornate di Napoli, la rivolta popolare, in realtà iniziata ben prima del 27 settembre del ’43 e da ricostruire compiutamente anche negli episodi di resistenza sbocciati qua e là nell’area metropolitana.
Si è giustamente ricordato come sia stata la prima grande città europea a insorgere e liberarsi da sola dalla barbarie nazifascista. È più difficile e assai meno esaltante ricordare quello che è successo subito dopo in città e non solo. Opere letterarie, di cinema e di teatro hanno scavato a fondo nella pena infinita in cui il suo territorio, col suo fragile equilibrio, è precipitato dopo la liberazione.
La “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo è rimasta impressa meglio di ogni altra opera, specialmente nella celebre battuta finale “Adda passa’ ‘a nuttata”, riferita alla bambina malata, metafora della città, divenuta terra di occupazione.
Si è discusso all’infinito se quella nottata sia passata oppure no. Ma in ciascuna lettura della non semplice realtà partenopea si nasconde il rischio della forzatura, se non si tiene conto del secolare equilibrio precario su cui si è retta la Napoli capitale dei regni Angioino, Aragonese, Spagnolo, Borbonico e poi la Napoli capoluogo di provincia del Regno d’Italia, fino al 2 giugno 1946.
Non è questa la sede per ricostruirne la storia complessa, ma piuttosto per affermare che bisogna studiarla questa storia prima di trarre giudizi affrettati sulla situazione di estrema precarietà, in bilico tra lo splendore dei suoi paesaggi, della sua arte, della sua cultura non solo alta e accademica di gran pregio e significato, ma anche umana e popolare, conosciuta in tutto il mondo, e la miseria dei suoi quartieri difficili e abbandonati. Una precarietà che la città vive ancora oggi, a ottant’anni dalla ritrovata libertà, dopo settantacinque anni di regime repubblicano imperniato su una Costituzione che parla di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Per Napoli la Repubblica Italiana nata dalla Resistenza ha fatto tanto, ma bisognava fare molto di più e molto meglio.
Oggi l’ISTAT, nell’ultimo censimento della popolazione, conta nel capoluogo partenopeo la presenza abnorme di circa seimila senza fissa dimora. In una recente dichiarazione alla stampa, l’assessore competente Trapanese paventa di ritrovarsene entro dicembre 2023 addirittura diecimila.
Non è difficile da credere, se si considera che decine di migliaia di persone in povertà assoluta, ritenute (teoricamente) occupabili, sono state private del sussidio per la disoccupazione lunga, chiamato impropriamente Reddito di Cittadinanza, e lasciate prive di qualsiasi forma di sostegno, in un territorio in cui il tasso di disoccupazione è stato calcolato nel 2021 al 31,39% per la città e nel 2022 al 21% nell’area metropolitana.
In una recente intervista, la direttrice della Caritas di Napoli ha testimoniato di aver ricevuto un 80% in più di richieste di aiuto e di aver visto finire in strada molti ex percettori del RdC.
Lo diciamo chiaramente: un Reddito di base incondizionato renderebbe finalmente giustizia a una città, un territorio e un popolo straordinario, che cerca lavoro e riscatto, non elemosine che si rivelano trappole della povertà e attirano disprezzo ingiustificato e ingiustificabile.
Un Reddito di base incondizionato, unito alla vocazione turistica partenopea e alla gran voglia di fare di tanti napoletani onesti, a una governance capace di dotarla di servizi efficienti e di regolare i flussi di visitatori in maniera da redistribuirli dalla città, a rischio snaturamento e congestionamento, anche nel ricco e vivace entroterra campano, sarebbe il vero e unico riscatto possibile da ogni ombra di miseria e di delinquenza.
Il Reddito di base incondizionato libererebbe molti dal ricatto del lavoro povero, del lavoro nero o della manovalanza criminale, consentirebbe e invoglierebbe molti ragazzi che abbandonano la scuola di proseguire gli studi, per valorizzare i propri talenti, e consentirebbe e invoglierebbe i più qualificati a restare, anziché emigrare. I numeri della migrazione giovanile a Napoli e in Campania, come quelli della denatalità, fanno impressione e di pochi giorni fa è uno studio che denuncia come spesso i numeri reali siano il triplo rispetto a quelli ufficiali.
Il Reddito di base incondizionato andrebbe a ristabilire un equilibrio socio-economico capace di far ritrovare a una città e un territorio straordinari un percorso sereno, non più precario, non più in bilico tra la grandezza della sua identità unica al mondo e le sue miserie e debolezze secolari.
Col Reddito di base incondizionato, la “nottata” lascerebbe finalmente il posto all’alba di un avvenire migliore.